13 febbraio 2013

Le dimissioni del Papa

Benedetto XVI lascia. Segno storico della modernità riflessiva.






Mala tempora currunt dicevano i romani. Uso il latino per darmi un tono e per entrare subito in sintonia con l’argomento: le dimissioni del Papa. Non so se avete saputo: il Papa si è dimesso. Benedetto XVI torna ad essere Joseph Ratzinger. 
Che fosse un Papa moderno, Benedetto, lo si era capito da subito. Le prime due cose che mi vengono in 
mente: ha proposto di tornare alla messa in latino (lingua morta ma tenuta in vita dalla Chiesa e dai professori di lettere classiche) e ha aperto alle coppie omosessuali come nessun altro. Insomma, un Papa rivoluzionario, come il gesto che ha compiuto. Molti parlano di rivoluzione, a me sembra che le dimissioni servano a non fare la rivoluzione. Ma questo è un altro discorso.

Le pagine dei quotidiani traboccano di interpretazioni, analisi e speciali su questo strano fatto. La Chiesa comincia col botto il Terzo Millennio, all'insegna del Pastore (tedesco), scelto niente di meno che dallo Spirito Santo, che non se la sente di continuare a fare il Pastore. Mi verrebbe da dire: se non ce la fa lui, non vedo perché dovrebbero i fedeli. Ma questo è un altro discorso. 


Il punto interessante della faccenda è l’impatto che questo evento avrà a livello culturale. A meno che la Chiesa non si impegni con forza per far dimenticare un evento che non si ripeteva da oltre sei secoli, resterà una traccia profonda nella memoria collettiva. È un altro tassello che si aggiunge a quel fenomeno che rientra sotto l’etichetta di modernità riflessiva
Cerco di essere sintetico e ipocalorico. Con modernità riflessiva si intende il fatto che la modernità, come è noto, comporta una serie di trasformazioni nella società. Una di queste, molto importante, riguarda la cultura. I valori, le istituzioni e i sistemi di credenze su cui si reggevano le comunità cominciano a vacillare, subiscono il peso della ragione e della secolarizzazione. Complice il progresso storico, una serie di certezze assolute che attraversano la sfera politica come quella religiosa, passando per la sfera individuale, cominciano a scricchiolare. Questo non vuol dire che spariscono le idee forti. Negli ultimi venti anni abbiamo visto attentati, guerre e genocidi. Tutto ispirato da idee più che forti. 




Quello che cambia è il sostrato, l’humus culturale su cui poggiano queste idee. È come se da un certo momento in poi, il Pensiero (usa una parola impegnativa e vacua, ma certamente d’effetto) giunge a un punto di non ritorno che non gli permette più di accettare totalmente un principio o un valore. Ogni cosa può e deve essere messa in discussione, posta tra parentesi e sottoposta alla critica. Non è il trionfo della ragione, per carità. Gli illuministi si rassegnino, perché non è questa la direzione. Anche la ragione è sul banco degli imputati. 
Niente perde valore, ma ogni cosa perde il suo statuto di realtà assoluta. La Famiglia, lo Stato, Dio, il Comunismo, il Fascismo ecc. continuano ad essere utilizzati come termini e come bussole valoriali. Cambia il modo in cui collettivamente si guarda alle ideologie, intese in senso lato come visioni del mondo. È il portato di quello che alcuni filosofi chiamano “pensiero debole”, un pensiero che si congeda dalle concezioni forti per accettare il relativismo come unica condizione per il dialogo. Ma è anche la conseguenza di una società che è passata attraverso visioni totalizzanti, ne ha pagato il prezzo e ora cerca di andare alla radice dei valori fondanti. In questo senso la modernità è riflessiva: si riflette sulle cose, si discute, si tende a non accettare tutto acriticamente. 





In questo scenario, la dottrina della Chiesa rappresenta una meravigliosa eccezione: uno scoglio del passato che resiste ai flutti della modernità. Tra stole, rosari, profumi di incenso, miracoli, prescrizioni e feste comandate, la Chiesa mantiene in vita una serie di simpatiche tradizioni che hanno il sapore della muffa. Ma non voglio essere offensivo. A ognuno la sua recita: musulmani, ebrei, testimoni di Geova, ortodossi ecc. non hanno nulla da invidiare. 
I dogmi cattolici sono divertenti. Senza scomodare quelli importanti, come l’Immacolata Concezione (la storia secondo cui la Madonna sarebbe rimasta incinta per opera dello Spirito Santo; si, lo stesso che ha scelto il Papa) o la Trinità (il fatto che Dio è allo stesso tempo Padre, Figlio e Spirito Santo, quindi è tre in uno come nei migliori formati convenienza), ce n’è uno che ho sempre trovato assurdo: l’infallibilità del Papa. Non mi dilungo sulle sfumature teologiche e la butto giù in modo rozzo. Il Papa è infallibile, una specie di supereroe. È un uomo a tutti gli effetti, ma nel momento in cui viene eletto dai cardinali che votano, illuminati dallo Spirito Santo (sempre lui), assume uno statuto particolare. Diventa vicario di Cristo e come tale rappresentante di Dio sulla Terra. Grandioso no? Si si, ora capisco cos'è la famosa fumata bianca che esce dal camino…diciamo che lo Spirito Santo sa come fare per rallegrare un’assemblea. Holy Skunk.

Risparmiamoci le acrobazie logiche che portano al dogma dell’infallibilità e andiamo al punto. Il Papa è il Papa, lo ha deciso Dio o uno dei suoi compari. Una volta eletto deve portare a termine la sua missione fino alla morte perché, sebbene sia un uomo, si tratta di un personaggio speciale. Lo so che sembra strano, ma sono in molti a crederci veramente. Ora, da cosa deriva lo sconcerto dei fedeli? Dal fatto che in questo giro qualcuno si deve essere sbagliato, visto che il Papa arriva a dire che non ce la fa. Detto con meno ironia, la riflessività investe anche la figura del pontefice. Probabilmente comincerà ad essere visto sempre più come un rappresentate terreno della Chiesa e meno come rappresentante di Dio. 

Nel frattempo godiamoci le scommesse sulla nuova elezione. Io voto per il Papa nero. Dopo Obama mi sembra il minimo.

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