11 novembre 2012

Che ne pensi di un anarchico (marocchino) a Milano

Mustafa, 72 anni. Marocchino e anarchico, più per natura che per convinzione politica. Amante del vino.


Mustafa viene da Tangeri. Ha 72 anni e vive in Italia da 30. E’ magro, carnagione scura con qualche riflesso bronzeo e molte rughe. Le storie che racconta se le porta cucite addosso. Sembra di vederle tutte lì sul volto, su quella specie di terreno solcato da sentieri.
Strano fenomeno le rughe. La pelle perde elasticità ed è costretta a indietreggiare, lasciando il posto a una linea netta e inesorabile. Lo sberleffo del tempo è servito. È servito direttamente sul volto, sulla parte del corpo che più di tutte ci appartiene ed esprime la nostra identità.


Mustafa beve tanto, solo vino però. Lo sottolinea sempre con un certo orgoglio, come se la sua dipendenza per il vino sia più il frutto di un amore incondizionato per il nettare degli dei che una schiavitù. O forse è consapevole del marchio di schiavo, ma lo porta con l’orgoglio e la dignità che solo gli schiavi d’amore sanno avere.
Non si può dire che sia una persona discreta e ed è raro trovarlo per strada sobrio. Si racconta spesso malvolentieri, anche se basta superare il muro di diffidenza e si apre come un libro. E’ bello ascoltare i racconti di un 70enne, non fosse altro perché ha tanto da dire. Se poi arriva da qualche altra parte ha ancora di più da raccontare. È un vecchio cocciuto e tenace. Dice di avere 72 anni ma non ci credo ancora, perché ne dimostra molti meno. E’ incazzato con tutti. Vorrebbe che il mondo girasse come vuole lui perché – dice – sarebbe sicuramente un posto migliore. Se provi a contraddirlo non la prende bene. Se gli dai ragione ti interrompe a metà dicendo “Braaavo”, con quel timbro di voce rauca che è il premio lasciato dalle sigarette di quart’ordine che fuma.

Mustafa arriva in Italia all’inizio degli anni 80 a Milano. La città in quel periodo è il simbolo di un nuovo modello, che cerca di interpretare al meglio lo spirito di quella fase politica, economica e culturale che chiamano reaganismo o qualcosa del genere. Sono i ruggenti anni 80, quelli della Milano da bere, che pensa ad arricchirsi e rincorre il sogno americano con frenesia ed entusiasmo. In quel periodo l’immigrazione c’è ma è un fenomeno limitato, nessuno se ne preoccupa. L’extracomunitario è tutto sommato ancora un individuo simpatico e buffo nell'immaginario collettivo. È umile, parla e veste in modo strano, ma sta al suo posto.
Sono stati anni bellissimi quelli, dice Mustafa. Nessuno ci guardava male. Certo, ti facevano capire che eri straniero ma non mi fregava un cazzo a me, dice Mustafa mentre aspira con avidità quel che rimane della sigaretta.
Gli offro un bicchiere di vino. È la benzina del dialogo in questo caso. Va avanti e si perde in mille storie, della sua famiglia e dei suoi figli, delle zie a cui era legato lasciate lì a Tangeri e mai più riviste, delle puttane con cui è andato e continua ad andare ancora oggi, anche se ora molto meno ammette sorridendo. Poi a un certo punto è cambiato tutto. Sono arrivati tanti altri stranieri e per noi si è messa peggio.
Mentre continua con questo torrente di parole, nasconde il bicchiere dietro di se. Di fronte c’è un gruppo di persone che esce da un posto che a me sembra a tutti gli effetti un garage. In realtà è una moschea e dentro ci sono molti suoi connazionali. Mi viene in mente una domanda a cui non avevo pensato e che in genere è una delle prime che si fa a uno straniero, specie se arabo. Ma tu sei musulmano, gli chiedo con un tono un po’ provocatorio, quasi per fargli notare con malizia che sta bevendo vino e non potrebbe.

Mustafa mi sorprende. A me non frega un cazzo della religione, dice. Come della politica e di tutto il resto. E attacca con la lista di quello che non gli piace neanche per un cazzo. Mi sembrava la solita risposta qualunquista che è facile captare in giro e invece chiude questo elenco dicendo: io sono anarchico. In che senso, gli faccio io incuriosito mentre chiedo al ragazzo del bar se ci porta altri due rossi. Sono anarchico, mi fa lui, non sai cosa significa? Certo, dico io, quindi ti piace Bakunin? Mustafa si fa serio, aspira con un pizzico di spavalderia la sigaretta e dice: si mi piace Bakunin, ma anche di lui non me ne frega un cazzo.

Da un anarchico non potevo aspettarmi una risposta migliore. Sorrido compiaciuto e urtiamo i nostri bicchieri uno contro l’altro, guardandoci negli occhi come vuole un certo codice d’onore. Ho fissato il volto e ho pensato che magari mente su tante cose, ma almeno le rughe non le nasconde. Anzi, le esibisce con orgoglio, come se fossero ferite di guerra oppure il miglior bagaglio che può portare con se un marocchino anarchico, incontrato a Milano in via Padova alle 3 di notte.

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